Tempo fa sono stata ad un incontro tra librerie, biblioteche e case editrici in cui si è parlato, in merito alla letteratura infantile. del raccontare storie a voce alta. Oggi si organizzano veri e propri laboratori, sia nelle biblioteche che nelle librerie, in cui bambine e bambini ascoltano storie e svolgono attività (che non manchino mai le attività!) legate al racconto insieme alle loro famiglie e tra loro. Mi è sembrata una bellissima idea e mi ha subito fatto pensare alla mia personale racconta-storie, autodidatta e pioniera in tante cose (questa di gran lunga la mia preferita): mia nonna. Madre di sette figli/e e nonna di quindici nipoti, nonché pluri-bisnonna, mia nonna Gabriella ha dedicato la sua vita (e quel poco tempo libero, quando ne ha avuto) a raccontare storie. Non solo a leggerle, ma a scriverle, disegnarle, metterle in scena con burattini e costumi fatti da lei. Sapeva tirar fuori un mondo da un granello di polvere, una storia da un tratto di matita, un'avventura da una parola. Prima di sei figlie femmine, maldestra e ribelle in un'epoca difficile per le bambine curiose e impertinenti, era un'instancabile sognatrice, coraggiosa e ottimista. Mi ha insegnato a riconoscere la magia nella vita quotidiana, a coltivare i sogni e la fantasia anche da adulta, a immaginare e raccontare, in qualunque modo volessi e come meglio potessi, senza paura di sbagliare né vergogna. Soprattutto, però, mi ha insegnato a credere nelle storie. Lette, inventate, ricordate, a spezzoni. Mi ha insegnato a credere nelle storie come occasioni, di fantasticare, di sentirsi vicini/e e condividere, di riflettere, di affascinare. In una storia abbiamo l'occasione unica di fermare qualcosa per sempre: un fatto, un'idea, un'emozione. Diceva lei, "come una macchina fotografica". Si riferiva alla scrittura, ma credo mi concederebbe quest'interpretazione più ampia.
Ho pensato a lei qualche giorno fa, quando girovagando per un'altra libreria in pausa pranzo (abitudine bizzarra ma, ho scoperto, comune fra quelli/e del mestiere) ho trovato un libro per adulti che insegna ad inventare e raccontare storie ai bambini/alle bambine. Spiegava come scegliere i personaggi e come modificare l'andamento del racconto a seconda delle necessità, facendo anche esempi pratici. Lungi da me giudicare il libro in sé, che peraltro ho solo sfogliato velocemente. Ho scoperto, tra l'altro, che esistono vari libri che trattano questo tema. Solo mi chiedo peché non siamo più capaci di inventare e raccontare, soprattutto ai bambini e alle bambine. Credo che la questione sia più sottile di così, come se ci fosse quasi un disagio nel calarsi nel ruolo di narratore o narratrice.
È forse diventato difficile per noi adulti credere nelle storie?
Forse ci siamo concentrati/e sull'educazione e l'informazione e ci siamo fatti/e convincere che inventare storie e saperle raccontare oggi sia superfluo. Sarà per questo che messi/e alle strette, finiamo per cercare libri che ci insegnino a fare una cosa così naturale e primordiale, che cerchiamo una risposta quasi "tecnica" ad un atto che ad oggi ci crea un po' di insicurezza. O forse è sempre stato così e mia nonna è sempre stata un'eccezione. Maneggiava e plasmava le storie con la cura e l'entusiasmo che solo le bambine e i bambini sanno mettere nelle cose davvero importanti. Sì, perché le storie sono importanti, al punto che qualcuno ha detto che siamo fatti di storie. Allora dovremmo raccontarne di più, sforzarci di inventarne di nuove, tornare a credere nel potere che hanno, nel potere che ci danno. Sono una delle pochissime creazioni umane non materiali, capaci di viaggiare nel tempo e nello spazio, eppure ci preoccupiamo così poco di mostrarle alle nuove generazioni, di insegnargli a lavorare d'immaginazione, raccontare, ascoltare e ricordare.
Oggi è il compleanno di mia nonna e il giorno in cui ha avuto inizio questa storia. La mia storia. La storia di una bambina che non ha mai smesso di immaginare e di raccontare, prima ai suoi figli e figlie, poi ai loro figli/e e perfino ai figli/e dei loro figli/e. Eccolo qui il potere delle storie, il fascino che sanno trasmettere, i legami che creano, i ricordi a cui fanno pensare. Siamo fatti di storie perché le storie sono fatte di noi. Mia nonna lo sapeva e così, quando decise di scrivere una raccolta di tutte le storie che ci aveva raccontato negli anni, storie di famiglia o di personaggi che l'avevano colpita, racconti inventati, favole e fiabe prese da vecchi libri, lo intitolò (riprendendo il titolo di un libro di Gabriel García Márquez e modificandolo leggermente), "Vivere, per raccontarle".
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